Empatia
L’EMPATIA
(di Alberto D’Auria psicologo – psicoterapeuta)
Questo saggio vuole sottolineare l’importanza dell’empatia e della comunicazione
efficace in numerosi aspetti della nostra vita personale e relazionale.
Prima di descrivere le caratteristiche dell’empatia è fondamentale premettere alcune
considerazioni di base.
Il mondo della ricerca ci offre alcune indicazioni importanti sul significato
dell’empatia e tutti gli studi evidenziano come l’empatia sia un valore che, a sua
volta, crea valore.
E come chi vuole realizzare una comunicazione veramente empatica debba aver cura
di se stesso, sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista psicologico, perché per
ottenere un ascolto che vada davvero in profondità sono necessarie molte energie:
una persona che non sia in buon stato di salute o che non sia in “forma” non potrà
realizzare un ascolto che vada realmente in profondità.
Pe realizzare una comunicazione empatica servono pertanto doti personali e forze
fisiche, mentali e motivazionali.
Se riconosciamo l’importanza di quanto fin qui esposto, possiamo ora illustrare
alcuni aspetti essenziali dell’empatia stessa, cioè del tema centrale di tutta questa
riflessione.
Prima di descrivere le caratteristiche dell’empatia, è fondamentale premettere alcune
considerazioni di base.
L’EMPATIA NELLE RELAZIONI
Se cerchiamo nel dizionario, empatia significa “la capacità di un individuo di
comprendere in modo immediato i pensieri e gli stati d’animo di un’altra persona, in
modo immediato, prevalentemente senza ricorso alla comunicazione verbale”1
1www.trecani.it/vocabolario/empatia
2
Deriva da en-pathos, sentire dentro, e si riferisce a un’abilità fondamentale
dell’essere umano di comprendere e sentire cosa prova la persona che ha di fronte. E’
una caratteristica naturale dell’uomo, fondamentale per la socializzazione, che si può
osservare fin dal primo sviluppo nel rapporto madre-bambino.
Crescendo, la capacità di provare empatia con l’altro va affievolendosi; coltivare la
propria capacità empatica diviene perciò una necessità, quasi un imperativo
categorico, per poter intessere relazioni autentiche e profonde, basate
sull’accettazione reciproca.
Tale pratica consiste nel “mettersi nei panni dell’altro”, o “in hisshoes” all’inglese;
ma come suggerito anche da queste due immagini prese dai detti della vita
quotidiana, non ci si può mettere nei panni di un altro se prima non ci si è tolti i
propri.
La pratica dell’empatia implica quindi l’annullamento, anche se temporaneo, di ciò
che pensiamo e crediamo, del nostro punto di vista, l’abbandono della nostra cornice
di riferimento.
Solo così infatti possiamo davvero entrare in contatto con la parte più profonda
dell’altro, capire e accettare ciò che ci comunica, senza giudicare.
Vi faccio un esempio: Siete seduti ad un tavolo e avete davanti a voi un foglio bianco
con scritto sopra in rosso e in grande un “6”.
Che cosa vedete? Probabilmente molti di voi alla mia domanda risponderanno, quasi
seccati dall’ovvietà del quesito, che si tratta di un sei. Ma siete sicuri di dire la verità?
Provate ora a immaginare che dall’altra parte del tavolo, esattamente di fronte a voi,
ci sia seduto un vostro amico, a cui pongo la stessa identica domanda. Che cosa vedrà
lui? Sicuramente risponderà che quello sul foglio è un nove.
Bene… chi dei due ha ragione? Entrambi?Nessuno dei due?
La risposta giusta è: dipende dal punto di vista!
Nella maggior parte delle conversazioni che poi si trasformano in discussioni, accade
la stessa identica cosa che è accaduta nel breve aneddoto che ho appena raccontato:
3
ognuno dei partecipanti alla conversazione vuole difendere il proprio punto di vista,
senza prima aver compreso quello dell’altro.
Esercitare l’ascolto empatico significa prima di tutto ascoltare con vero e genuino
interesse il punto di vista dell’altro, per comprenderlo ed accoglierlo. Significa
chiedere a chi ci sta di fronte di “prenderci per mano” e accompagnarci dall’altra
parte del tavolo, per poter finalmente guardare nella stessa direzione e renderci conto
che, effettivamente, il nostro sei assomiglia ad un nove visto da quella prospettiva.
Allora, e solo allora, se ancora lo vogliamo, possiamo prendere a nostra volta per
mano l’altra persona e accompagnarla a vedere il nostro sei, per renderci infine conto
che dicevamo la stessa identica cosa, come spesso accade alla fine delle discussioni.
L’IMPORTANZA DELL’EMPATIA NELL’ASCOLTO
L’ empatia, cioè la capacità di percepire l’esperienza soggettiva altrui, ha assunto nel
tempo un ruolo sempre più importante in psicologia e dalle ultime scoperte sembra
che tale capacità sia sostenuta dai neuroni mirror (specchio).
2
Credo sia importante
distinguere tra un’empatia immatura e una matura. Nel primo caso percepiamo le
gioie, le sofferenze, gli stati d’animo di chi ci sta accanto, dileguando e confondendo
il nostro sé con quello altrui. Potremmo chiamarla simpatia(da sin-pathos: sentire
insieme) poiché le emozioni e i vissuti dei due individui si intrecciano e si
confondono. Questo non è buono perché perdiamo la nostra lucidità e il controllo
della situazione.
L’empatia matura ci consente, come quella immatura, di sperimentare quanto l’altro
sta vivendo ma permette di mantenere ben distinti i confini tra l’uno e l’altro.
Confondendomi con l’altro non posso essergli di alcun aiuto. L’empatia corretta
richiede una grande capacità di uscire dal proprio egoismo e contemporaneamente di
2
Cfr. www.stateofmind.it/tag/empatia
4
possedere una collaudata consapevolezza di se stessi. Comprendere, sentire l’altro
significa non giudicarlo.
Quando eravamo piccoli, tutti noi eravamo molto empatici, molto sensibili. Una volta
cresciuti, a causa dell’educazione e anche del fatto che non è piacevole sperimentare
le sofferenze degli altri, abbiamo creato attorno a noi dei gusci protettivi ed isolanti. I
bambini infatti si “sciolgono” nelle emozioni e questo può essere particolarmente
spinoso se si tratta di emozioni che fanno soffrire.
L’empatia è un elemento indispensabile per una comunicazione efficace. Se l’altro si
sente capito e accolto allora il dialogo diventa più sincero e più liberatorio, più
arricchente insomma. L’empatia ci permette di conoscere emozionalmente l’altro e
questo è un vantaggio se il nostro interlocutore non riesce ad essere proprio chiaro
nell’esporsi, perché in tal caso lo potremo aiutare noi. Questo certo non significa
avere la presunzione di risolvere i suoi problemi, ma il fatto di poterli esporre con più
tranquillità e in tutta libertà è già sicuramente un passo importantissimo per poterli
affrontare nel migliore dei modi.
Si può inoltre evitare una vasta serie di malintesi, tipici della comunicazione, poiché
l’empatia ci permette di avere una comprensione più ampia della persona che
abbiamo di fronte.
Infine, l’ascolto empatico non fa bene solo a chi lo riceve ma anche a chi lo dona.
Sganciarsi dal proprio ego può essere liberatorio anche per noi perché ci da la
possibilità di guardare il mondo con occhi diversi, con occhi nuovi. Capire che anche
altre persone stanno passando dei momenti difficoltosi, magari peggiori dei nostri, ci
strappa via da un monopolio di egoismo e di sofferenza che non giova a nessuno.
L’ascolto empatico è così importante perché ci permette di avere una comprensione
profonda della persona che ci troviamo davanti.
La prima regola dunque è di “cercare prima di capire”; siamo infatti abituati ad
ascoltare, non per capire, ma per rispondere. E’un comportamento molto radicato e
per questo automatico.
5
Provate a pensare a quante volte capita che, mentre l’altro ci sta parlando, prima
ancora che finisca noi ci stiamo già concentrando su che cosa rispondere!
Stephen Covey, grande autore e formatore statunitense, riporta in uno dei suoi libri
un esempio che mi sembra calzare a pennello per far capire quali conseguenze possa
avere questo tipo di comportamento e per questo lo riporterò di seguito.3
Supponiamo che voi abbiate un disturbo alla vista e decidiate di farvi visitare da un
oculista. Dopo avervi brevemente visitato, l’oculista si toglie i suoi occhiali e ve li
porge.
“Si metta questi”, dice. Li porto da dieci anni e mi hanno davvero aiutato. Li tenga
pure, a casa ne ho un altro paio.
Voi li indossate ma non fanno altro che peggiorare il problema. […]
Cosa c’è che non va?” chiede l’oculista. “Per me funzionano a meraviglia. Bisogna
che si sforzi.”
Questo è un tipo di errore che si verifica quotidianamente nella comunicazione. Una
persona viene da noi con un problema e, senza nemmeno lasciarlo finire di parlare,
interveniamo dicendo quale secondo noi sia la cosa migliore da fare, facciamo cioè
intervenire la nostra autobiografia.
Le conversazioni di tutti i giorni sono ricche di risposte autobiografiche, che non
lasciano vero spazio all’altro.
Come già detto in precedenza, questo tipo di comportamento è molto radicato e non
vuole assolutamente far intendere che ci sia una cattiva intenzione o una mal
disposizione alla conversazione, semplicemente non ce ne rendiamo conto.
I principali tipi di risposte autobiografiche sono quattro, ed è fondamentale imparare
a riconoscerle quando le utilizziamo, per poter pian piano imparare ad evitarle.
Quando ascoltiamo, il primo errore è quello di valutare, decidiamo cioè se siamo
d’accordo o meno con quanto viene detto; un altro comportamento tipico è quello
3
Stephen Covey, Le 7 regole per aver successo, FrancoAngeli, 2004
6
dell’inquisitore, colui che pone tante domande, spesso con un tono moralistico e
invadente, partendo dal proprio punto di vista.
Inquisire è un modo logico di comunicare, e quindi non è il modo più appropriato di
rispondere nel caso in cui il dialogo sia intessuto di sentimenti e preoccupazioni. Esso
è uno dei principali motivi per cui i figli fanno fatica ad aprirsi con i propri genitori.
Altri due modi d’intervenire comuni che spesso ci sembrano anche giusti, poiché
mossi dalle migliori intenzioni, sono consigliare e interpretare.
Consigliare l’altro basandoci sulla nostra esperienza, senza però prima averlo
ascoltato fino in fondo e avergli dimostrato la nostra comprensione, rischia di far
sentire l’altro soffocato e non rispettato; oltretutto non è detto che la nostra
esperienza coincida con la situazione e che la soluzione che è stata giusta per noi
possa esserlo anche per l’altro, come ci ricorda l’esempio degli occhiali.
L’ultimo infine è l’interpretare, cioè spiegare i pensieri e il comportamento dell’altro
basandoci su quelle che in realtà sono le nostre emozioni e motivazioni, vediamo cioè
la nostra vita proiettata nella sua, invece di capire veramente quale sia la sua realtà.
EMPATIA: A USO DI TUTTI O ESCLUSIVA DI POCHI?
Sì, in linea di principio tutti possiamo essere empatici. C’è un’empatia spontanea, che
si sperimenta ad esempio con il coniuge o con il proprio figlio, e c’è anche
un’empatia acquisita per addestramento come accade alle professionisti delle
relazioni d’aiuto (psichiatri, psicoterapeuti, psicologi, counselor, coach, assistenti
sociali, etc.).
Si deve soprattutto a Carl Rogers,4
a metà del secolo scorso circa, la realizzazione di
un metodo psicoterapeutico fondato sul contatto empatico tra paziente e terapeuta e al
suo allievo T. Gordon le tecniche per sviluppare competenze emotive relazionali nel
campo dell’educazione.
4
La terapia centrata sul cliente, Rogers, C. R. (2000, Firenze, Psycho,
7
Inoltre da qualche anno si parla anche di intelligenza emotiva, cioè la capacità di
controllare i sentimenti ed emozioni proprie ed altrui, distinguere tra di esse e di
utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni
(Mayer e Salovey).
In particolare, secondo Goleman, la competenza emotiva è formata da una
competenza sociale e da una personale.5
Nel primo caso si tratta di creare dei rapporti collaborativi e di gestione dei conflitti
con chi ci sta intorno attraverso l’empatia; nel secondo caso si tratta invece di
conoscere noi stessi, dare un nome alle emozioni che in quel momento stiamo
sperimentando, cioè riconoscerle e dominarle, imparare attraverso l’esperienza ed
essere sempre motivati a migliorarsi in questo percorso.
Osserviamo allora come un buon ascolto debba comprendere l’empatia la quale a sua
volta è indissolubilmente legata alla padronanza di sé, all’attenzione, alla
motivazione e al fatto di conoscere noi stessi.
QUALI SONO I PASSAGGI PER IMPARARE AD ASCOLTARE?
Come abbiamo scritto, questa capacità può essere imparata, quello che serve è avere
pazienza e costanza e, prima di tutto, essere davvero motivati a comprendere l’altro.
Vi sono diversi stati di sviluppo di tale competenza.
Il primo livello è quello di imitare il contenuto di ciò che è stato detto.
E’ il modo più semplice, sebbene sia anche il più superficiale. Consiste
semplicemente nel ridire la frase che ci è stata detta.
Poniamo per esempio che si tratti di un figlio che va dal padre per parlare di un
problema con la fidanzatina.
“Papà oggi pomeriggio ho litigato di nuovo con Giulia.”
5
Intelligenza emotiva, Daniel Goleman, Rizzoli, Milano (1996)
8
“Quindi oggi hai litigato con Giulia…”
Ha il vantaggio di dimostrare all’altra persona che si sta ascoltando ciò che dice, e
quindi la incoraggia a proseguire nella conversazione.
Il secondo stadio prevede invece la riformulazione del contenuto, è molto simile al
primo ma è un po’ più efficace poiché risulta meno meccanico.
“Papà oggi pomeriggio ho litigato di nuovo con Giulia.”
“In questo periodo non è la prima volta che litigate…”
Questo tipo di commento lascia trasparire che, oltre ad averlo ascoltato, avete anche
pensato a che cosa ha detto.
Fino a questo momento siamo rimasti sul livello logico e razionale della
conversazione ma, come avevo già detto prima a proposito dell’inquisire, è
necessario scendere a livello emotivo per ascoltare davvero in modo empatico.
Il terzo livello consiste infatti nel riflettere un sentimento.
“Papà oggi pomeriggio ho litigato di nuovo con Giulia.”
“Mi sembri davvero frustrato…”
In questo modo non stiamo più ponendo attenzione alle parole, ma più che altro
all’emozione che ne traspare e questo fa da subito sentire al ragazzo che viene
compreso e che può aprirsi.
Infine l’ultimo livello, il più completo, prevede che vengano utilizzati entrambi gli
approcci, quello logico e quello emotivo; esso include il secondo e il terzo stadio e
consiste quindi nel riformulare il contenuto riflettendo il sentimento percepito.
“Papà oggi pomeriggio ho litigato di nuovo con Giulia.”
“Tu e Giulia litigate spesso in questo periodo e mi sembri proprio frustrato per
questo…Ne vuoi parlare?”
Usando entrambi gli aspetti, quello logico e quello emotivo, riusciamo a comprendere
entrambi i lati della sua conversazione.
Quando arriviamo a questo livello, la persona che ci sta di fronte si sente ascoltata e
soprattutto sente la nostra vicinanza emotiva e per questo si aprirà con più facilità.
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A questo punto non servirà più valutare, inquisire, né tantomeno consigliare o
interpretare poiché l’altro si sentirà libero di chiederci per primo un consiglio.
Il genitore, anche quando sta effettivamente dando un consiglio, si mostra sensibile a
quando gli viene detto. Fino a quando il figlio da risposte logiche, può continuare a
porre domande e dare consigli; quando la conversazione si sposta nuovamente su toni
emotivi, torna all’ascolto empatico.
In questo istante siamo seduti entrambi dalla stessa parte del tavolo, vediamo cioè il
problema dallo stesso punto di vista. Quando ciò accade si apre un vero e proprio
flusso da anima ad anima.
I risultati sono davvero sorprendenti. Vi renderete conto che tante volte l’altra
persona, una volta che si è sentita compresa e accettata, vedrà la situazione in modo
molto più chiaro e la soluzione verrà a galla da sola, senza nemmeno il bisogno dei
nostri consigli.
I BENEFICI DELL’ASCOLTO EMPATICO NELLA QUOTIDIANITA’
L’ascolto empatico è sicuramente uno strumento fondamentale a livello relazionale,
da imparare ed utilizzare, ad esempio, in famiglia.
La comunicazione è sicuramente uno degli aspetti più delicati del rapporto genitore-
figlio, in particolar modo quando si tratta di figli adolescenti; in un periodo così
critico per lo sviluppo, pieno di cambiamenti e di emozioni contrastanti, cresce per
l’adolescente la necessità di sentirsi accettato e compreso all’interno della famiglia.
Gli errori più comuni in questo tipo di comunicazione sono il giudizio e il
rimprovero.
Sentirsi giudicato per quello che pensa o che prova e sentirsi dire “te l’avevo detto”
quando sbaglia, sono forse due delle cose che più irrigidiscono la conversazione
genitore-figlio, scoraggiando l’adolescente ad aprirsi nuovamente per confidarsi con
l’adulto.
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Ma ascoltare veramente significa interessarsi pienamente a ciò che l’altro ha da dire,
mettendo da parte ogni pregiudizio, ogni teoria o supposizione che possiamo esserci
fatti sulla situazione, ogni giudizio morale.
Ogni volta che vi trovate in una situazione di conflitto del genere pensate alla storia
del 6 e del 9, vi aiuterà a ricordare che atteggiamento mantenere durante il dialogo.
L’ascolto empatico ci permette di lasciar esprimere liberamente il figlio, in modo che
non si senta giudicato o valutato per quello che dice.
Sentire la vicinanza del genitore permette al giovane di sentirsi sicuro e protetto, di
poter parlare dei propri sentimenti e pensieri andando in profondità e senza aver
paura di non essere accettato per questo. Lo aiuta a fidarsi di più del genitore e,
contemporaneamente, a fidarsi più di se stesso, poiché non si vede attaccato o
giudicato. Ciò rende il rapporto più forte e aiuta entrambe le parti a conoscersi meglio
e ad andare d’accordo. L’ascolto empatico si trasforma così in un vero gesto d’amore
incondizionato.
La stessa cosa vale per la relazione di coppia, un’altra parte della vita privata in cui la
comunicazione spesso si dimostra un nodo cruciale.
Fare in modo che il proprio partner si senta compreso e accolto è un elemento
fondante per un rapporto sano e duraturo.
L’ascolto autentico, così come nel rapporto in famiglia, permette all’altro di aprirsi e
confidare ciò che davvero sente, le preoccupazioni che lo affliggono, ciò su cui non è
d’accordo, senza sentirsi per questo attaccato.
Esercitare questo tipo di ascolto quotidianamente permette di instaurare un rapporto
di coppia trasparente, basato sul dialogo e sulla fiducia reciproca; permette inoltre di
evitare equivoci e fraintendimenti che portano spesso a risentimento ed emozioni
represse, che, se non adeguatamente espresse e risolte, portano al deterioramento
della relazione.
Si può dunque concludere che l’ascolto è una competenza irrinunciabile che sta alla
base di una comunicazione efficace, in qualunque ambito della vita di un individuo.
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L’UTILIZZO DELL’ASCOLTO OVUNQUE TI TROVI
L’ascolto è una qualità essenziale in ogni ambito della vita, quindi può essere
utilizzato in qualunque momento, anche in ambito professionale.
Ci tengo a precisare che esso è una vera e propria disciplina, che necessita costanza,
impegno e soprattutto autocontrollo, in quanto non è facile annullare il proprio modo
di vedere le cose.
Ovviamente la base da cui partire è un sincero interesse per la persona che abbiamo
di fronte e per ciò che ci vuole comunicare. Per questo motivo a mio avviso l’ascolto
attivo o empatico non può essere considerato alla stregua di una tecnica di
comunicazione o di vendita, poiché se l’interesse non è autentico l’interlocutore lo
percepisce e questo ovviamente produce l’effetto opposto.
Permettere alla persona che ci parla, sia che si tratti di un cliente o paziente, sia che si
tratti di un collega, ci aiuta a comprendere meglio quali sono i suoi bisogni e di
conseguenza a poter rispondere nel modo più adeguato a tali esigenze. Spesso infatti
si ha la tendenza a ribattere immediatamente, con risposte già “preconfezionate”
senza preoccuparsi veramente che il prodotto o servizio soddisfi veramente le
richieste e i bisogni più profondi dell’altro.
PER UN ASCOLTO EMPATICO EFFICACE
Nel suo libro “Ascolto attivo ed empatia”, Daniele Trevisani propone alcune utili
regole per realizzare un ascolto empatico di qualità.
La maggior parte delle discussionihanno origine da fraintendimenti e interpretazioni
sbagliate.
Durante le fasi di un ascolto empatico è fondamentale:
1 non interrompere mai l’altra persona
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2 non giudicarla prematuramente; non esprimere giudizi che possano interrompere il
flusso espressivo altrui,
3 ricapitolare di tanto in tanto quello che si è capito (quindi se ho capito bene, è
successo che….), riformulare i punti critici (ok, non ti risponde subito al telefono, e
tu ci rimani molto male, capito), fare parafrasi (quindi, se capisco bene è come se….);
4 non distrarsi, non pesare ad altro, non fare altre attività mentre si ascolta, usare il
pensiero per ascoltare, non vagare;
5 non correggere l’altro mentre afferma, anche quando non si è d’accordo, rimanere
in ascolto;
6 non cercare di sopraffare;
7 non cercare di dominare;
8 non cercare di insegnare o impartire verità, trattenere la tentazione di immettersi nel
flusso espressivo per correggere qualcosa che non si ritiene corretto;
9 non parlare di se’
10 testimoniare interesse e partecipazione attraverso i segnali verbali e il linguaggio
del corpo;
Di particolare importanza risultano gli atteggiamenti diinteresse genuino e curiosità
verso la controparte: il desiderio di conoscere ed esplorare la mente di un’altra
persona, attivare la curiosità umana e professionale.
Importante è anche il silenzio interiore: creare uno stato di quiete emozionale
(liberarsi da emozioni negative e pregiudizi) per ascoltare l’altro è rispettarne i ritmi.6
Nella persona vi è una forza che ha una direzione fondamentale positiva.
Più l’individuo è capito e accettato profondamente, più tende a lasciar cadere le
false “facciate” con cui ha affrontato la vita e più si muove in una direzione positiva,
di miglioramento.